Un nuovo blitz che testimonia quanto pericolosa sia, per la nostra sicurezza nazionale, la rotta di barconi e gommoni tra Tunisia e Sicilia. Questa volta, grazie ai risultati acquisiti con l’operazione “Abiad”, la minaccia jihadista nei confronti dell’Italia appare esplicita. Se prima quei viaggi “di lusso”, con gommoni comodi ed effettuati in poche ore di viaggio, sembrano celare il sospetto dell’arrivo dei terroristi nel nostro paese, adesso si parla chiaramente di simpatie verso l’Isis e di esaltazione della jihad tra chi gestisce il business del contrabbando lungo il canale di Sicilia.
Ed il cerchio, verrebbe da dire, si chiude. Gli allarmi per possibili infiltrazioni jihadiste vengono lanciati già nell’estate del 2017, quella che in Sicilia viene ricordata come la stagione per eccellenza degli “sbarchi fantasma“. Approdi cioè non segnalati, dove chi lascia le imbarcazioni sulla spiaggia fa poi perdere traccia tra le campagne siciliane circostanti. In quella stagione si conta, soprattutto ad Agrigento, una media di almeno due sbarchi al giorno.
Gommoni provenienti in gran parte dalla Tunisia, paese che ha il triste primato del numero di foreign fighters affiliati all’Isis. Elementi dunque troppo evidenti per non pensare al rischio di infiltrazioni terroristiche.
La peculiarità delle rotte degli sbarchi fantasma
La “stagione di fuoco” degli sbarchi fantasma inizia nella seconda metà di giugno del 2017. Due barchini vengono notati lungo la spiaggia di Zingarello, una contrada ricadente all’interno del comune di Agrigento e non lontana da Palma di Montechiaro. Quell’avvistamento appare subito anomalo: non c’è traccia di persone all’interno delle imbarcazioni, ma nemmeno nelle zone circostanti. Tutto sembra essere avvenuto di notte ed in fretta: sulla spiaggia, alcuni vestiti ed alcuni oggetti personali, segno che chi è approdato lì subito si è messo in cammino verso altre mete senza essere intercettato.
Quell’episodio, già pochi giorni dopo, non appare più come episodio isolato. Si contano numerosi sbarchi, tra luglio ed agosto del 2017 gli approdi sono quasi quotidiani. Da Zingarello alla riserva di Tosse Salsa, nel territorio di Siculiana, dalla suggestiva ed isolata spiaggia delle Pergole di Realmonte, fino ai lidi compresi tra Ribera e Sciacca. Tutta la costa dell’agrigentino appare sotto assedio. Ed al Tribunale di Agrigento, dagli stessi uffici del quinto piano da cui esattamente un anno dopo partirà l’indagini contro Salvini per il caso Diciotti, si lancia il primo allarme: “Non si possono escludere rischi sul fronte terrorismo”, tuona infatti il procuratore Luigi Patronaggio.
Del resto nel mese di settembre del 2017, desta scalpore il ritrovamento di una felpa a Torre Salsaabbandonata da uno dei tanti migranti sbarcati e subito dispersi tra le campagne. In quell’indumento di colore nero, spicca la scritta “Haters Paris”, un riferimento alla capitale francese colpita dal terrorismo negli anni precedenti.
Finita l’estate, gli sbarchi iniziano a diminuire. Scattano le indagini: nell’agrigentino vengono arrestati cinque scafisti, gli unici ad essere braccati dopo uno sbarco avvenuto a Porto Empedocle. Ma nei mesi successivi a quella calda estate, le inchieste puntano anche sul trapanese. Ed è lì che emergono i dettagli più inquietanti. Si evidenziano, in particolare, alcune differenze tra il fenomeno degli sbarchi fantasma ad Agrigento e quelli invece che avvengono in provincia di Trapani. I primi sono quasi sempre effettuati con barchini: la traversata parte dalle coste di Biserta o di Sfax e termina nell’agrigentino, sia lungo le coste siciliane che dell’isola di Lampedusa.
Gli sbarchi nel trapanese sono invece quelli considerati “di lusso”: si arriva tra Marsala e Mazara del Vallo e non con