Sport, 24 aprile 2023

Leggenda vivente dello sport ticinese

I 75 anni di Alfio Molina

LUGANO - Fosse nato un paio di decenni più tardi, Alfio Molina avrebbe avuto una carriera probabilmente più luminosa e ricca. Siamo nel campo ma non ci vuole questo caso quasi): quando del Lugano giorni scorsi (tanti auguri!), del suo ruolo era molto per un giocatore elvetico accedere campionati più prestigiosi. non solo: nel paese vigeva il semi-professionismo. Il numero bianconero, come disegnatore Lugano e alla sera squadra. Negli migliori momenti straordinaria carriera, per Molina mondo hockeistico era soprattutto il Lugano. Dal quale non ha mai avuto il coraggio di staccarsi, malgrado ne avesse avuto la possibilità. Ci fu a proposito un caso clamoroso: “L’Ambrì mi voleva e allora l’avvocato Salvioni e l’ex nazionale di calcio Nene Zurmühle mi chiesero di incontrarli per vedere se c’era spazio per una trattativa. Alla fine della riunione li ringraziai dicendo che non me la sentivo di lasciare il club che mi aveva lanciato. E pensare che l’Ambrì era nella massima lega e noi in LNB”.


Alfio Molina: partiamo dagli inizi.
Partiamo da quando mio padre Ivo, allora portiere del Lugano, mi portò a pattinare sul lago di Muzzano a 4 anni. Quello fu il primo impatto. Dire che mi appassionai subito è esagerato. Poi all’età di 9 anni iniziai a giocare nel settore giovanile del Lugano nella neonata Resega. Dalle partite sul cemento dalle parti della Madonetta a Molino Nuovo, quartiere in cui ero cresciuto, al ghiaccio: non male! 



Nel 1964 il primo importante successo.
Mancava un mese al mio compleanno. Avevo 15 anni e mezzo. Guido Keller, il mio primo allenatore, mi aveva incoraggiato a seguire le orme paterne e grazie al suo aiuto diventai titolare. E a Rapperswil, nello spareggio per salire in Lega Nazionale B, difesi la porta bianconera con un po' di emozione, vista l’età. Ma non mi feci impressionare più di quel tanto. Alla fine vincemmo.


Dal settore giovanile alla prima squadra: un bel salto.
Un passaggio meno difficile di quanto si pensi. Oggi sarebbe impensabile. In quegli anni, fra l’altro, conobbi Silvano Brambilla, Silvano Corti, Peo Rezzonico, Fausto Bernardoni e il compianto Ivano Parini, tutta gente con la quale ho condiviso un periodo davvero indimenticabile.


Primo anno in LNB con Papi Friedrich e Roland Bernasconi, altre leggende bianconere, in panchina.
Avevano giocato in LNA con il Villars e a quei tempi chi scendeva di categoria doveva star fermo un anno. I due ci diressero dalla panchina e in seguito diventarono a tutti gli effetti giocatori del Lugano. Furono gli anni dei primi derby con l’Ambrì Piotta. Ilprimo, se non sbaglio, lo disputammo nel dicembre del 1964 alla Resega. Quasi 7 mila spettatori! Tre quarti dei quali leventinesi. Nel periodo in questione eravamo i cugini poveri. Poi le cose cambieranno. Mi ricordo comunque un derby di Coppa risolto da Giorgio Moretti: una delle rare gioie di quegli anni.


Nel 1971 la prima storica promozione in LNA.
Con Reynald Lacroix in panchina. Un galantuono canadese che proveniva dalla Francia. Salimmo nella massima serie dopo un bel duello col Losanna. E alla Resega il pubblico cominciò a farsi sentire. In Lega nazionale A durammo però soltanto due stagioni: nella prima arrivammo quarti. Una clamorosa sorpresa, visto che eravamo neopromossi. Poi fummo retrocessi al termine di un campionatro tribolato, costellato di polemiche e derby anche “proibiti”. Pagammo caro anche le intemperanze del nostro pubblico: la federazione squalificò la nostra pista e contro il Langnau fummo costretti a giocare sul neutro di Coira. Finì male e quel giorno iniziò il tracollo…


In mezzo a tutto ciò la Nazionale.
Un bel capitolo della mia carriera. Soprattutto ai Mondiali del gruppo A a Praga nel 1972. Lottavamo per la salvezza con la Germania ma riuscimmo a sconfiggere la Finlandia (3-2), una delle nazionali emergenti. In pista c’era anche un altro bianconero, Peter Aeschliman. Ricordo ancora quella partita: alla fine fui eletto miglior giocatore in pista.


In mezzo a tutto ciò anche un certo Roger Corpataux.
Tanto di cappello a Roger che per tantissimi anni è stato la mia riserva a Lugano. Senza bettere ciglio, sempre col sorriso sulle labbra, allegro e vivace. Lo ricordo con affetto.


Una vita a Lugano, tre promozioni ma due titoli svizzeri da riserva. Sembra un paradosso.
Quando arrivò Geo Mantegazza, presidente a 360 gradi, eravamo ancora un club di seconda fascia. Con lui fummo promossi nel 1982. Poi iniziò la scalata al titolo. Ormai ero a fine carriera ma riuscì a festeggiare i primi due titoli. Non da protagonista ma comunque felice. Aveva vinto il Lugano ed era l’unica cosa che contava.

M. A.

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