In un contesto di crescenti violenze nei confronti della minoranza bianca, e nel silenzio quasi totale dei media e della comunità internazionale, il parlamento sudafricano ha votato una mozione del partito comunista volto a esproriare i terreni di proprietà dei bianchi per trasferirli a membri della maggioranza nera.
Il Sudafrica post-Apartheid di Nelson Mandela è da sempre dipinto come un trionfo del multiculturalismo, dove razze ed etnie diverse convivono pacificamente senza particolari conflitti. Ma è davvero così? In realtà, sin dall’instaurazione del primo governo del ANC (African National Congress, il partito di Nelson Mandela) i bianchi sono diventati bersaglio di persecuzioni praticamente ignorate dal resto del mondo, in particolare la comunità boera che abita nell’entroterra (i boeri sono i discendenti dei primi coloni olandesi e parlano Afrikans, mentre le coste sono abitate perlopiù da discendenti dei britannici e sono per la maggior parte anglofoni).
Nelle città i bianchi non possono praticamente mostrarsi in pubblico dopo il tramonto se non in determinate vie particolarmente illuminate e trafficate e abitano in prevalenza in quartieri con case che assomigliano a fortini, con mura, filo spinato e telecamere che ricordano tra l’altro i quartieri bianchi di paesi come il Brasile, l’Argentina o certe città americane, le cosiddette “gated community”.
Ma particolarmente grave è la situazione per i bianchi che abitano in campagna, dove si sono formate nel frattempo delle comunità rurali costrette ad abitare in piccole cittadine con tanto di mura e checkpoint. Fonti parlano di oltre 70’000 bianchi uccisi nel Sudafrica post-Apartheid, senza contare rapine, stupri e altre violenze. A ciò si aggiunge la discriminazione economica che