Sport, 03 dicembre 2018

Bruno Rogger luganese DOC: “Alla fine ho scelto bene”

Per 11 anni ha giocato nell’HCL che lo scoprì a Wetzikon negli anni ‘80

LUGANO - Per undici anni ha vestito la maglia del Lugano, vincendo quattro titoli ed ottenendo una promozione in serie A, esattamente nel 1982 quando i bianconeri erano guidati da Real Vincent. Bruno Rogger è stato senza ombra di dubbio uno dei giocatori più affidabili che il Lugano abbia mai avuto in difesa. Non usciva mai dalle righe, semplice nei movimenti ma tremendamente concreto, disciplinato. Per anni ha formato una coppia formidabile con Sandro Bertaggia. I bianconeri scoprirono questo swiss-canadien (doppio passaporto) nel 1980 e l’allora presidente Geo Mantegazza gli sottopose un contratto ma lui preferì il Wetzikon. Fu un esordio esaltante con gli zurighesi che lo fecero debuttare proprio contro i ticinesi e luì giocò alla grande, segnando due reti e fornendo un assist. Alla fine la sua squadra vinse per 6-5. Il Wetzikon, grazie al suo apporto ottenne poi altre vittorie importanti che gli permisero di mantenere il proprio posto in Lega Nazionale A. Rogger disputò cinque partite col Wetzikon e poi, quasi inevitabilmente, firmò per il Lugano che lo soffiò alla concorrenza.

Rogger ricevette ben nove offerte da altre società, ma alla fine scelse l’HCL “Soprattutto perché mi convinsero le argomentazioni del presidente Geo Mantegazza. Il Lugano puntava alla massima serie ed era disposto a fare grandi sacrifici per farlo, a quel punto compresi che l’HCL faceva sul serio”.

Con Bruno Rogger, ormai cittadino luganese a tutti gli effetti, abbiamo voluto ripercorrere alcune delle tappe più significative della sua esperienza in bianconero. Siamo andati a trovarlo nel suo bar in centro a Lugano (Time Out).

Bruno, da dove cominciamo?
Dalla scelta di andare a Lugano, anche se all’inizio non me la sentii di accettare l’offerta dei bianconeri, ma semplicemente perché non conoscevo l’hockey svizzero. Volli provare nel Wetzikon e mi accorsi che in Svizzera si giocava del buon hockey. Le reti segnate contro l’HCL furono la classica ciliegina sulla torta. Poi partì la grande avventura… 

Sempre fedele alla stessa maglia…
Undici anni, sì! L’inizio fu incredibile: la piazza era entusiasta ed il sostegno dei fans davvero incredibile. Il tifo era contagioso, unico. Furono anni incredibili, partendo dalla stagione in cui ottenemmo la promozione andando a vincere a Berna. In Lega Nazionale B vedere sugli spalti 16'000 spettatori era una cosa unica al mondo. Che festa quel giorno… All’Allmend c’erano 3.500 tifosi del Lugano.

In Svizzera lei ci arrivò da centro…
Fino a 16 anni venivo impiegato in difesa poi alcuni tecnici mi dissero che, per fare carriera, sarebbe stato meglo cambiare ruolo. A Wetzikon iniziai effettivamente in avanti ma poi l’allenatore mi spostò in retrovia visto che la difesa zurighese faceva acqua da tutte le parti. Ero felice di essere un terzino, anche perché la dimensionepiù grande delle piste svizzere mi obbligava a pattinare di più ed io non sempre riuscivo a reggere il ritmo. In difesa mi trovai perfettamente a mio agio ed anche il Lugano, pur facendomi di tanto in tanto giocare in attacco, capì che quello era il mio ruolo naturale.

Parliamo del primo titolo vinto con John Slettvoll alla guida nel 1986...
Altra stagione incredibile, con un finale di partita a Davos pure da cardiopalma visto che recuperammo due volte lo svantaggio, partendo inizialmente da un 2-4. Non ci volevamo credere: Johansson fu determinante. Il ritorno in Ticino entusiasmante. Non avevo ma visto nulla di simile.

Una rimonta stimolata dal tecnico svedese...
Nel terzo tempo, quando eravamo sotto di due reti, Slettvoll ci disse che chi non credeva più nelle possibilità di rimonta poteva attaccare la maglia al chiodo e tornarsene a casa. Ebbene, al rientro sul ghiaccio il Lugano apparve letteralmente trasformato e riuscì a ribaltare una situazione che sembrava effettivamente molto difficile.

Con un Johansson, come si diceva prima, in gran spolvero...
Diciamolo subito, pur con tutto il rispetto per gli altri stranieri che hanno vestito la maglia del Lugano, Kenta è stato senza ombra di dubbio il giocatore più forte che sia mai venuto sulle rive del Ceresio. Con lui era davvero un piacere giocare. Anche io ne trassi dei benefici, quando di tanto in tanto mi spostavo in avanti lui con un incredibile colpo d’occhio sapeva sempre trovarmi e servirmi il disco con grande precisione. Era geniale, aveva un intuito unico, un eccellente senso della posizione
ed una freddezza sotto porta davvero particolare. Per noi era una garanzia quando le partite… scottavano.

Ci furono altri due momenti speciali per lei, ossia il ritorno a Lugano dopo il primo titolo e lo scudetto vinto a Berna... 
Quella notte della Resega non la dimenticherò mai. Fu davvero un “unicum” al mondo: alle 3 di notte c’erano oltre 5000 spettatori sugli spalti della pista ad aspettarci per un abbraccio festoso. Fu un’emozione indicibile, da brividi. Mi ricordo che in noi c’era una grande voglia di riscatto dopo aver perso lo scudetto alla Resega. Avevamo forse la miglior squadra di sempre ma a fermarci fu un Tosio formato “super”. L’anno successivo si invertirono le parti, noi sul ghiaccio degli Orsi disputammo la partita decisiva con una determinazione eccezionale. Alla fine arrivò il successo, che gioia… 

Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, quanto è cambiato l’hockey rispetto ad allora?
Tutto, specialmente la velocità ed alcune regole del gioco per sveltire ulteriormente la manovra. Oggi l’hockey è più dinamico, fisico, occorre una preparazione atletica ancor più meticolosa.

Torniamo alle… faccende bianconere. Gli anni più fragorosi furono quelli con Slettvoll, ma cosa aveva di così particolare questo allenatore?
Era un duro ma con le idee molto chiare. Diciamolo subito, è stato con il suo avvento che l’hockey svizzero ha cambiato gradatamente… pelle. Portando più professionalità e qualità al gioco. Sapeva quello che voleva e te lo faceva capire in tutte le… salse, trovando anche soluzioni estreme ma che riuscirono sempre a fare la differenza.

Rogger ha combattuto tante battaglie, ma ce ne fu una che davvero rischiò di… piegarlo.
Infatti vedevo, con il passare del tempo, che durante la preparazione estiva le mie forze cominciarono ad abbandonarmi. All’inizio mi spaventai, poi il responso medico che mi informò di avere il diabete 1, quello cioè che ti costringe ad assumere insulina quattro volte al giorno per non rischiare la vita. Fu una botta tremenda per me, cercai in tutti i modi di evitare le punture ma alla fine dovetti accettare la cosa. Piano piano mi abituai al fatto, ma certo non fu una cosa piacevole.

Un altro bellissimo momento fu la nascita dei suoi figli Benjamin (ora 31.enne) e Brian (27)...
Il primo ha giocato nelle giovanili dedl Lugano fino a 20 anni ma poi si è visto chiuso la strada dai veri Chiesa, Nodari ed altri. A quel punto decise di cambiare… vita ottenendo il diploma di fisioterapista. Dopo aver fatto da “secondo” sulla panchina degli élites bianconeri, Benjamin è andato ad allenare a Bellinzona. Brian al contrario è entrato nella Polizia cantonale, poi ha deciso di esercitare questa professione in Canada.

Una volta attaccati i pattini al chiodo anche Rogger ha… cambiato vita...
Effettivamente, Geo Mantegazza mi trovò un impiego in una banca, nella quale vi restai per diversi anni.

Infine l’apertura del bar Time Out, in Via Peri a Lugano...
Un cambiamento radicale, sono ormai 14 anni che lavoro in questo ritrovo pubblico e sono davvero molto felice. Qui vengono a trovarmi molti amici, ex giocatori e dirigenti. Un modo spensierato e bellissimo di passare delle piacevoli ore con chi non ti ha mai dimenticato.

Ultimo capitolo: la nazionale. Come vedi il suo futuro?
Sicuramente roseo perché sia la Federazione che i vari staff tecnici hanno svolto un lavoro incredibile, sfornando un numero significativo di talenti. Avendo la… materia prima la Svizzera ha potuto alzare la sua asticella della qualità, diversi giovani sono andati nella NHL e questo ha permesso al nostro hockey di guadagnarsi rispetto in tutto il mondo. I due secondi posti ottenuti ai Mondiali dimostrando che la via tracciata è quella giusta. Patrick Fischer poi si è rivelato l’allenatore giusto per valorizzare al massimo il potenziale a disposizione. Io credo che, se riusciremo ad avere tutti i migliori giocatori, la nostra rappresentativa potrà ancora ottenere prestigiosi risultati in futuro.

Due parole sulle dimissioni di Arno del Curto?
Lasciare dopo 22 anni è davvero duro. A maggior ragione se la squadra è in crisi. Ma Del Curto è stato un gran rivoluzionario dell’hockey svizzero. Giù il cappello!

G.M.

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