Tra pochi giorni si vota negli Stati Uniti per le elezioni di mid-term (metà mandato). Si tratta del più importante appuntamento elettorale negli USA dopo quella con cui si elegge il Presidente. Quest'anno le elezioni di metà mandato avranno un significato particolare, in quanto ruotano in larghissima parte intorno alla figura di Donald Trump. Da più parti, infatti, si parla di un vero e proprio referendum sul presidente americano.
Come funziona
Ma per cosa si vota esattamente? Innanzitutto, con le mid-term si eleggono tutti i membri della Camera (House of Representatives), che viene rinnovata completamente ogni due anni. Così come ogni due anni si vota per il Senato, ma in questo caso per rinnovare soltanto un terzo dei suoi componenti: il mandato dei senatori dura infatti sei anni, e ogni due anni ne viene rinnovato un terzo. Nel particolare bicameralismo americano, infatti, Camera e Senato hanno poteri simili (anche se non identici) ma sono due istituzioni completamente diverse: la Camera rappresenta “il popolo” e i suoi 435 membri sono eletti in collegi uninominali di popolazione simile (quindi negli stati più grandi si eleggono più deputati che in quelli piccoli); i 100 membri del Senato invece rappresentano invece i singoli stati: ogni stato elegge 2 senatori, e il ritmo sfalsato con cui il Senato si rinnova fa sì che la sua composizione non sia troppo volatile da un’elezione all’altra.
Le mid-term sono anche l’occasione in cui si elegge la maggior parte dei governatori dei diversi stati, ossia 36 (su 50). Ma nell’ottica della politica nazionale tutti gli occhi degli osservatori, negli USA come all’estero, sono puntati sugli equilibri di Camera e Senato. Il motivo è presto detto: per quanto il Presidente degli Stati Uniti abbia molti poteri, i provvedimenti legislativi devono necessariamente passare per l’approvazione di entrambi i rami del Congresso. Se i Repubblicani – che attualmente detengono la maggioranza in entrambi i rami – dovessero perdere la maggioranza anche solo in una delle due camere, il Presidente diventerebbe quella che in gergo viene definita “anatra zoppa” (lame duck).
Le difficoltà che ha avuto Donald Trump negli ultimi due anni a far passare i suoi provvedimenti (specialmente a causa di senatori repubblicani ben poco benevoli nei suoi confronti) sono nulla rispetto all’ostruzionismo che dovrebbe affrontare qualora i Democratici conquistassero una camera. Ciò è esattamente ciò che è successo a Obama, che poté contare su un Congresso a maggioranza interamente democratica solo nel suo primo biennio (2008-2010), periodo nel quale riuscì a far approvare la sua riforma sanitaria, poi contestatissima dai Repubblicani e la cui abrogazione, quasi ironicamente, divenne poi un cavallo di
battaglia di Donald Trump per farsi proiettare alla Casa Bianca.
Cosa dicono i sondaggi
E cosa dicono sondaggi e esperti sulle possibilità che il partito repubblicano confermi la sua maggioranza o che il partito democratico la riottenga dopo 10 anni di minoranza ? Senza entrare nei dettagli dei singoli istituti di previsione, i sondaggi prevedono una vittoria dei democratici alla Camera e una vittoria dei repubblicani al Senato. Sondaggi a parte, che comunque valgono quel che valgono vista anche la vittoria dello stesso Trump nonostante i sondaggi che davano Hillary Clinton vittoriosa con probabilità anche superiori al 90%, ci sono diversi fattori emersi di recente che verosimilmente andranno a influire sul voto finale.
Eventi recenti che potrebbero influenzare le elezioni
Uno è la cosiddetta carovana di migranti, una folla di diverse migliaia (dalle 3'000 alle 10'000, a dipendenza dalle fonti) di persone provenienti dal centroamerica in direzione degli Stati Uniti, che ha fatto riemergere l'emergenza immigrazione nel paese e che potrebbe giocare a favore di Trump e i repubblicani, i quali hanno poi colto l'evento per sostenere che se ci fossero i democratici al congresso sarebbe più difficile per Trump gestire l'emergenza. Un'altro fattore è il cosidetto Blexit (gioco di parole sul Brexit che include le parole "black" e "exit") ossia quel fenomeno che vede diversi afroamericani (uno su tutti Kayne West) dichiarare il proprio supporto ai repubblicani e a Donald Trump, cosa quasi impensabile fino a qualche anno fa per la comunità nera, la quale vota per il partito democratico con percentuali superiori anche al 95%. Senza il sostegno massiccio delle minoranze etniche, il partito democratico non ha alcuna possibilità di giocare la partita.
Un'altro fattore da tenere in considerazione è la recente nomina di Brett Kavanaugh a giudice della corte suprema, avvenuta il 6 ottobre scorso. In quella occasione Kavanaugh è stato colpito da una serie di accuse di molestie sessuali infondate che hanno scatenato violenti proteste da gruppi di sinistra vicini al partito democratico. La violenza di tali proteste e le accuse, rivelatasi del tutto infondate, potrebbero giocare contro il partito democratico, la cui vicinanza con i manifestanti e le accusatrici di Kavanaugh potrebbero far scappare l'elettorato moderato e indipendente di cui entrambi i partiti hanno bisogno per vincere le elezioni. L'ultimo fattore è quello dei finanziamenti, e questo gioca in larghissima parte a favore dei democratici, i quali nelle 32 elezioni in stati chiave (cioè quelle in cui il risultato non è dato per scontato) i democratici hanno un vantaggio tra i 108 e i 152 milioni sui loro rivali repubblicani, un record. Ma era un record anche il finanziamento su cui poteva contare Hillary Clinton, che di fatto è stata l'elezione con più finanziamenti della storia. E sappiamo com'è andata a finire.